di Maria Rita Cuccurullo
Le radici rappresentano il pilastro dell’individuo, il punto di partenza, l’iter, la sua eredità, la sua connotazione, il suo posto nel mondo.
L’esserci, insieme a tutto ciò che ognuno, in relazione alle proprie possibilità riesce a costruire e a realizzare. Gli obiettivi, i sogni, i traguardi, le rinunce, l’impegno e quanto la vita stessa può offrire.
L’esserci, insieme a tutto ciò che ognuno, in relazione alle proprie possibilità riesce a costruire e a realizzare. Gli obiettivi, i sogni, i traguardi, le rinunce, l’impegno e quanto la vita stessa può offrire.
Le radici, le basi da cui origina l’esistenza, il tempo che evolve attraverso ciò che è stato, che è e che sarà. Quel patrimonio immenso, inestimabile dal quale non si può prescindere.
Qualcosa di talmente proprio che si dà per scontato, come l’abito che si indossa, le proprie certezze, la propria identità.
Qualcosa di talmente proprio che si dà per scontato, come l’abito che si indossa, le proprie certezze, la propria identità.
Quando, invece, a mancare sono proprio le radici, fare i conti con la privazione è la cosa più difficile da accettare. Se si invitasse una persona qualsiasi, anche solo per un attimo, ad immaginare sé stessa, senza un’ identità, senza sapere chi è veramente, le crollerebbe il mondo addosso e l’ impalcatura di talune certezze comincerebbe a sgretolarsi.
Ecco, questo è quello che accade a chi vive tale digiuno, tale vuoto, tale inesistenza. Il baratro! Ignorare le proprie radici è quello che accomuna chi vive il silenzio dell’anonimato, chi non sa da dove viene. È un po’ come non sapere dove andare. Mancano le fondamenta, i riferimenti essenziali. È pur vero che una persona è il risultato di un vissuto, di diversi elementi legati alla crescita e al proprio percorso di vita. La formazione, la famiglia che l’accoglie, i contesti di vita di appartenenza, la sua evoluzione umana, professionale, sociale, però, il nulla derivante dall’assenza di radici, quello sì, rimane per sempre.
Ciò non connota, non destina all’infelicità, è chiaro, ma sicuramente accompagna l’evoluzione e l’affermazione di un individuo da un punto di vista emozionale. Insieme alla necessità di trovare quella parte di sè che non cambia ciò che è diventato, ma sicuramente lo completa e lo rappresenta. Il suo mondo, il suo unico, ricco mondo interiore.
La vita è qualcosa di prezioso e una persona messa al mondo e lasciata al suo destino, non deve ringraziare perché non voluta, non deve ringraziare solo perché esiste. La persona messa al mondo e in qualche maniera lasciata, avrà sempre tutta se stessa e la speranza di un futuro, sarà sempre la persona che ha avuto la fortuna di vivere. Vivere, ma a che prezzo? La legge tutela il diritto all”anonimato della madre che non consente di essere nominata, ma chi tutela il diritto sacrosanto del figlio di sapere chi l’ha concepito, chi l’ha generato, messo al mondo? Chi e cosa tutela il figlio e il suo bisogno di essere? La sua identità biologica, il suo bisogno di sapere, la sua fama di verità, il suo esserci a tutti gli effetti, il suo vuoto affettivo, il suo bagaglio di affettivo da riempire? La questione è duplice.
Da una parte, una madre la cui volontà va difesa, le sue ragioni tutelate. E dall’altro, le ragioni di un figlio lasciato alla nascita, la sua necessità di dare un volto all’ignoto, le ragioni di un dramma creato dell’assenza. Gli effetti della deprivazione materna soprattutto nei primi anni di vita sono devastanti. Sono dure le conseguenze drammatiche, delicatissime derivanti dalle lacune che un’assenza e/o un distacco materno possono generare lasciando traccia nel tempo. Si potra riuscire mai ad immaginare quanto male può fare vivere una vita sospesa tra l’incertezza e la ricerca continua di verità? Un’agonia che si risolve quando un anonimato viene sciolto dando un volto alle sofferenze e al vuoto scavato dentro.
Chi intraprende la strada della ricerca delle.proprie origini si barcamena in un’avventura straordinaria fatta di speranze, attese, sogni. Partire da strade cieche in cerca di luce. È come brancolare nel buio. Strade che conducono nelle incertezze dei destini, nelle lungaggini burocratiche e in cerchi che forse possono ricongiungersi o rimanere incompleti per sempre.
Una persona ha il diritto di riconoscersi in volti ed appartenenze insieme a quel fondamentale bisogno “imprescindibile” di costruire la sua identità biologica. Non si può vivere una vita fatta di isolamento, solitudine biologica. La sensibilizzazione nei confronti del riconoscimento delle proprie origini esige attenzione a tutela del diritto della persona, prima come essere umano e poi come cittadino. Occorre dare voce e ascolto ai gridi di allarme di quanti si cercano nel silenzio di anonimati di cuori distanti, spezzati dalle sofferenze che viaggiano lungo appartenenze sospese.