La scena di questi ultimi mesi è dominata, prim’ancora che dal governo Gentiloni, di cui se ne son dette di cotte e di crude, dalla “Questione PD”. La eco mediatica delle vicende Renzi, Raggi, De Magistris, De Luca, ci impone qualche riflessione.

Seguendo dettagliatamente le vicende politiche salernitane, la situazione locale ci è sembrata alquanto speculare a quella nazionale.

Fino alla mezzanotte del 4 dicembre 2016, chiusura delle urne del referendum costituzionale, tutti i renziani salernitani, della prima, dell’ultima e della sesta ora, erano letteralmente e letterariamente come i capponi di Renzo di manzoniana memoria.

Nella mano destra di Renzi, metaforicamente a testa in giù, a beccarsi tra loro su chi fosse il primo, il più vicino, il più fidato, il più leale, il più sincero, il più apprezzato, anche semplicemente il più renziano dei renziani.

Mezzogiorno del 5 dicembre 2016. Con una rapidità che ha messo in crisi la teoria della relatività che non ammette velocità superiori di quella della luce, si consuma la diaspora dei renziani. Con la stessa rapidità, dagli stessi emerge un criticismo nei confronti di Renzi che sembrava evirato dalle facoltà cognitive e mentali. Come Pietro con Gesù, Renzi viene rinnegato e, in alcuni casi, il suo nome messo al bando dal linguaggio, innominabile, e – per chi ne disponeva – il suo numero bloccato da telefonini e whatsapp. Come sempre, questo in molti ma non in tutti tra i renziani salernitani.

Oggi, a Salerno, sulla scorta di quanto descritto, si assiste, in vista del congresso, ad una redistribuzione del personale politico salernitano renziano.

Una delle parole più sentite e forse abusate di questi tempi è: “Populismo”. Un termine che nell’uso attuale nulla ha a che vedere con l’origine ed il suo significato storico e l’attribuzione della parola e il suo copyright, nel 2017, è appannaggio di nessuno. Non di Beppe Grillo, populismo puro, non di Silvio Berlusconi (protopopulismo della II Repubblica), non di Matteo Salvini (populismo elettorale), non di Giorgia Meloni, (populismo nazionalista), non di Luigi De Magistris (populismo plebeo), non di Vincenzo De Luca (populismo genetico) nè infine, di Matteo Renzi (populismo antipopulista). Non lo è nemmeno dei media, tv, internet, carta stampata, che pure ne abusano nell’informazione per aumentare audience, visite, lettori o per ignoranza, ci auguriamo la prima opzione. E su questo – pensiamo – nulla quaestio.

L’attuale fase pre-congressuale è l’occasione più ghiotta per partiti e movimenti avversi per servirsi legittimamente nella prassi politica, ciascuno a modo proprio, del populismo a fini elettorali per aumentare il proprio consenso.

Meno, molto meno, legittimo è l’utilizzo, in questa fase di apparente confusione del PD, del populismo da parte dei media. Che fa perno sulla disinformazione della stragrande maggioranza degli italiani che presi da contingenze, emergenze, urgenze della quotidianità tutto hanno tranne che il tempo di conoscere vicende di cui gli stessi protagonisti, da Matteo Renzi in giù, non ne capiscono un accidenti.

La molteplicità di canali su cui si muove l’informazione, unita a quello che per maggior parte è solo aneddotica di battute, gag, espressioni facciali e verbali e racconto di guerre, battaglie, faide interne, lotte per posti in lista, di capilista, di prenotazione di scranni e poltrone, è la migliore politica mediatica per titolare il populismo popolare.

Senza grandi pretese, da testata giornalistica giovane, con una sezione specifica dedicata alla politica, non possiamo fare a meno di notare che, salvo rare eccezioni, dal Corriere della Sera al quotidiano di provincia è solo un fiorire di articoli su posizionamenti, probabili candidature, scissioni (dell’atomo!) e nano-scissioni, conta di deputati e senatori ai più svariati fini e altre amenità varie.

Sempre confidando nell’agire consapevole di editorialisti, notisti politici, commentatori, corsivisti, opinionisti e influenzatori multimediali ci concediamo, responsabilmente, di offrire, nei limiti di cui siamo consapevoli, uno sforzo di chiarezza.

Il segretario nazionale Matteo Renzi si è dimesso, reggente del partito è il presidente Matteo Orfini.Come da regolamento è in atto il processo per la definizione delle regole per l’elezione del nuovo segretario. Ad oggi i candidati sono tre. Michele Emiliano, magistrato, governatore della Puglia, che si presenta come esempio di buona amministrazione e con un progetto politico di stampo meridionalistico. Andrea Orlando, ministro alla Giustizia, fautore di una conferenza nazionale programmatica, sostenitore di un’identità socialdemocratica del PD. Matteo Renzi, ex Presidente del Consiglio, che pure ha avuto un cammino comune con il senatore Giorgio Napolitano, ma che, forse per il suo anèlito a un approccio innovatore alla politica, sfugge a qualunque inquadramento. Si sa essere grande fan di Barack Obama e grosso utilizzatore dell’I-Phone.

Vogliamo ‘scomodare’ Totò. Ricordate la scena del film “Totò contro maciste” dove il poverino sta male e arriva un corteo di luminari della scienza che vogliono capire il problema e sono convinti di riuscirci con fantomatici mezzi a noi umani sconosciuti? Ecco, i renziani sembrano proprio un corte di medici luminari che escono dalla sala operatoria e vanno verso i parenti del paziente a comunicare l’esito positivo dell’intervento decantando con una malcelata soddisfazione personale le proprie capacità. Un intervento delicatissimo, ma perfettamente riuscito, nonostante qualche complicazione sorta in itinere. Sì ma il paziente come sta? Beh, il paziente è morto.